L’adattamento di Nosferatu diretto da Robert Eggers, candidato agli Oscar per Miglior Costumi, si distingue per la sua estetica visiva ipnotica, una sinfonia di ombre e luci che incanta e inquieta. Non sono stati i denti aguzzi o gli occhi cavernosi a catturarmi, ma il panneggio di un mantello. Quella stoffa logora, sospesa tra il reale e l’onirico, mi ha ricordato una verità semplice ma potente: il vero horror non si nasconde nell’ombra, ma nel personaggio che la indossa.
Oggi voglio parlarvi di Linda Muir, la geniale costumista dietro a questo capolavoro visivo. Perché sì, Nosferatu è un film da sentire con gli occhi, in ogni piega, in ogni ricamo.
Non Solo Stoffa: Quando il Vestito Diventa Personaggio
Linda Muir non “veste” i personaggi. Li scava. I costumi non si limitano alla semplice veste scenica, ma diventano un vero e proprio strumento narrativo, capace di amplificare la tensione psicologica e di delineare la metamorfosi interiore dei personaggi.
Il lavoro di ricerca della costumista è partito da riviste di moda tedesche del XIX secolo e tessuti autentici; tessuti che raccontano una storia, evocandone il peso, la decadenza.
E infatti, guardando Nosferatu, interpretato da Bill Skarsgård, trascinarsi in quelle vesti consunte, si ha l’impressione che i suoi abiti siano vivi. Le pellicce sembrano marcite, i broccati hanno la consistenza di ragnatele. Qui la decadenza non è un effetto speciale: è cucita a mano, filo dopo filo.
Ellen Hutter: Un’Elegia in Bianco e Nero
Parliamo di Lily-Rose Depp e del suo personaggio, Ellen. All’inizio la vediamo fluttuare in abiti da sogno: mussoline (teli in cotone) candide, nastri e maniche che sembrano ali di farfalla. Ma quando il Male, Nosferatu, bussa alla sua porta, il guardaroba cambia lingua.
Quel passaggio dal bianco al nero non è una transizione: è un lento annegamento. Il velluto luttuoso che la avvolge nel terzo atto non è un semplice costume: è una seconda pelle, la corazza di chi ha visto l’abisso e vi si è tuffata. E quel cappello a velo? Un sudario che ancora respira.
Orlok: Il Mostro che Ti Fa Compassione
Skarsgård è magnificamente raccapricciante, ma è il suo guardaroba a completare la tragedia. Linda Muir ha creato per lui un’armatura di solitudine: cappotti lunghi come ferite non rimarginate, pesanti alla vista e non solo (talmente pesanti che hanno costruito un’imbracatura all’interno per permettere all’attore di entrare e uscire facilmente senza sudare ulteriormente!) . Eppure, c’è una dignità in quei drappi logori. Questo vampiro non incute solo paura: suscita pietà.
Il Coro dell’Umanità: Quando gli Strappi Parlano
Mentre Nosferatu domina la scena con la sua alterità, i costumi degli altri personaggi ci ricordano che questa è, in fondo, una storia umana. I contadini transilvani con i grembiuli macchiati di fango. I marinai con le giacche incrostate di sale. Persino il sindaco della cittadina tedesca, con il suo panciotto troppo stretto che grida mediocrità borghese.
Sono questi dettagli a renderci complici del dramma. Ci fanno sentire il freddo delle notti senza fuoco, pregne d’umidità. Ci ricordano che il vero horror non è il soprannaturale, ma la miseria che costringe gli uomini ad aprire le porte al diavolo.
La Gola: Luogo del Desiderio e della Colpa
Nella simbologia cristiana e folklorica, la gola è sede del peccato di gola (inteso come ingordigia, lussuria). Non a caso, i vampiri mordono lì: è un’erosione del confine tra bisogno fisico e trasgressione morale.
I costumi del film giocano su questo dualismo: gli umani coprono la gola con colli alti, come a rinnegare la propria animalità.
Il collo della protagonista, o meglio le scollature di Ellen, si aprono progressivamente (anzi, sarà stesso lei a strapparle): sono il segno di una colpa accettata. Mentre la società la giudicherà una tentatrice, il film ci dice che è semplicemente l’unica ad aver rimosso l’armatura.
Conclusioni: Un Invito ad Aprire gli Occhi (Anche Sulle Cuciture)
Cosa raccontano quelle pieghe? Quali tragedie si nascondono sotto un colletto slacciato? Nosferatu insegna a modo suo che il costume è il primo attore di un film, il messaggero silenzioso che prepara il terreno alla storia.
La prossima volta che guarderete un film, provate a fare un gioco: spegnete l’audio e concentratevi solo sui vestiti. Scoprirete che un bottone sbagliato può urlare più di un urlo, e che un orlo sfilacciato può commuovere più di un monologo.
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