di Luigi D’Auria
L’acquario e il carillon
Non credo in niente è l’esordio al lungometraggio del trentenne (*) Alessandro Marzullo, presentato come evento speciale alla 59a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
“Un puzzle di frammenti senza forma” (note di regia) che ci immerge in un viaggio notturno nell’anima di quattro ragazzi alla soglia dei trent’anni (*) che non vogliono rinunciare alle proprie passioni, nonostante il loro progetto di vita stia prendendo una direzione diversa da quella che speravano.
Una ragazza con svariate passioni artistiche (Numero 4 / Demetra Bellina) si ritrova a fare la hostess di una compagnia aerea low cost; un aspirante attore (Centocelle / Giuseppe Cristiano) vaga in sella alla sua moto dimenandosi tra fragili relazioni notturne; una coppia di musicisti (Cara & Jonio / Renata Malinconico & Mario Russo) sbarca il lunario lavorando in nero nella cucina di un ristorante thai.
Non si conoscono tra loro, ma si ritrovano tutti in balia delle sabbie mobili che si nascondono sotto le superfici di questa realtà iper capitalizzata. E’ lo Stato d’animo di quelli che restano di Umberto Boccioni, la notte fantasma contemporanea che cita e fagocita tutto (All You Can Hate).
Non credo in niente è un film crepuscolare sull’attesa della fine, è cronaca di una morte non annunciata, ma presente, sempre in agguato (la corda del violino di Jonio che cede nella scena iniziale). E’ uno squarcio à la Fontana sul disagio di una generazione che si ritrova senza prospettive a constatare che Dio è morto e ci ha lasciato un mondo in cui non esistono fatti ma solo interpretazioni, le “so many roads” della soundtrack.
Le musiche di Riccardo Amorese, e la regia audace di Marzullo (Looped Love), conferiscono al film la struttura di un carillon, in cui la ciclicità dei numerosi ralenti sottolinea il girare in tondo dei personaggi, la “successione di notti senza fine”, l’annullarsi nella ripetizione senza differenza deuleuziana. Hanno tutti ragione.
Il quartetto di interpreti giovanissimi prova a spezzare la monotonia di questo loop esistenziale con gesti di una vitalità disperata, con la voglia di un riconoscimento umano nel qui e nell’ora nonostante tutto. Ed è forse questa la caratteristica che accomuna il film di Marzullo ad un altro grande esordio del 2023: la lotta per rivendicare un proprio posto nel mondo aveva contraddistinto anche il dimenarsi dei tre protagonisti della sterminata domenica di Alain Parroni, in particolare il Kevin interpretato da Zackari Delmas.
“Le nostre vite individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati fra loro”. Così l’impianto produttivo del film si fa vera e propria performance artistica con 13 giorni (anzi notti) di riprese non consecutive fra loro, ma spalmate su 8 mesi, con numerose prove e riflessioni in corso d’opera sui personaggi. A tenere insieme il tutto, a fare da collant all’intero mondo marzulliano è, quindi, il paninaro/produttore interpretato da Lorenzo Lazzarini della Daitona.
Sognano da pesci rossi i personaggi di Non credo in niente, immersi in una fotografia grezza e sporca, ottenuta tirando la pellicola (Super 16mm, poi riversata in DCP) e forzando lo sviluppo. Un impianto visivo sperimentale e insolito per un esordio che fa del “rumore” della grana un vero e proprio stilema espressivo.
Il riferimento immediato è il Wong Kar Wai del dittico Angeli perduti / Hong Kong Express con grandangoli, strade perdute, rifrazioni, le luci fuori fuoco e le sinestesie poetiche della vita urbana (come la scena istant cult della sigaretta condivisa da Cara e Jonio sul retro del locale in cui lavorano).
La forma dell’acquario
Non credo in niente ha la forma di un acquario, come sottolineato da una delle scene più belle del film, quella del dialogo tra Montesi e Cristiano tra gli acquari in vendita di un piccolo store romano. L’ossessiva presenza di oggetti che separano i personaggi tra di loro e dallo spettatore è una cifra stilistica dell’intera opera e fa pensare alla paura da contatto dei vari plexiglass del mondo covid: i vetri, gli specchi, i finestrini di un taxi o quelli di un aereo da cui di continuo i protagonisti provano ad interrogarsi sulla perduta armonia con l’ambiente che li circonda.
La vetrata del Flamingo, dalla quale seguiamo l’inizio del colloquio tra Centocelle (!) e un produttore, così come le veneziane dietro cui Numero 4 e il receptionist si rifugiano alla ricerca di un pò di intimità, ci restituiscono la sensazione di star osservando la vita dei pesci di un acquario, come in una fantasia sottomarina (l’autore cita espressamente Rossellini tra le reference dell’opera). E non è casuale che Marzullo scelga in entrambi i casi un totale.
O ancora lo stesso poster ufficiale del film con i personaggi in una bolla su sfondo blu, quasi a rimarcare questa asfissiante apnea generazionale, la società liquida di Bauman, citato in apertura.
-“Facciamo che sono uno dei tuoi personaggi” dice un’iconica Demetra Bellina al receptionist.
-“Puoi fare quello che vuoi. Ti devi SOLO sentire libera”.
Buio. So many roads, so many stars, so many…
FUORICAMPO:
–Fallen Angels e tutto il cinema di Wong Kar Wai;
–Fantasia sottomarina di Roberto Rossellini;
-il merchandising ufficiale di Non credo in niente (su https://noncredoinniente.com/);
-i tagli di Lucio Fontana e gli Stati d’animo di Umberto Boccioni al Museo del 900 di Milano;
–So Many Roads di R. Amorese & D. Bellina:
-“una generazione vocata alla nostalgia di cose mai vissute” Lorenzo Ciofani;
-Centocelle e il piccolo Michele Amitrano di Io non ho paura (G. Salvadores) sono la stessa persona: Giuseppe Cristiano;
-Il cielo sopra Latina: Una sterminata domenica di Alain Parroni;
-Bellina e Marzullo non credono in niente – ArteSettima Podcast Special: