di Anna Pitta
Il caos dei processi emotivi, “LETTER TO A PIG” è nella cinquina dei cortometraggi in gara per la Notte degli Oscar 2024.
Come gli eventi violenti del passato possono lasciare un’impronta indelebile alle generazioni future? In che misura i traumi riescono a superare il confine individuale, radicandosi profondamente nelle comunità, dove l’angoscia, la paura e l’impotenza diventano una condizione ineludibile?
Il cortometraggio di cui ti parlo oggi “Letter to a Pig” della regista Tal Kantor, è un viaggio nella costruzione della memoria collettiva di un popolo segnato da eventi traumatici. La storia si sviluppa con una delicatezza straordinaria, riuscendo a raccontare i processi della mente umana e la sua abilità nel confrontarsi con il passato.
Nella sua prima opera da solista, Kantor parte da un episodio autobiografico: la trama si sviluppa attorno a un sopravvissuto all’Olocausto chiamato a testimoniare la propria storia in una classe di ragazzi annoiati. Utilizzando una tecnica nuova, la regista israeliana fa uso di disegni e pitture per animare i fotogrammi, integrandone poi delle riprese video.
Uno dei fotogrammi del cortometraggio, esempio di disegno, pittura e ripresa video
In questo contesto visivo, si alternano sullo schermo sagome umane disegnate a metà, con pochi dettagli, a scenari più complessi in cui la rappresentazione del tempo sembra espandersi.
E tu spettatore, ti ritrovi lì ad osservare sullo schermo l’emanazione visiva dell’atto del ricordare, un processo dinamico che, in base alla rilevanza del momento da evocare, consente di recuperare tutti i dettagli significativi della storia.
Kantor riesce quindi con quella che a mio parere è una trovata geniale, a ricostruire visivamente ciò che avviene inconsciamente a livello cognitivo quando le persone iniziano a ricordare.
La scelta di presentare la storia attraverso gli occhi di Alma, la protagonista, aggiunge un elemento di intimità e connessione emotiva.
Il processo di memoria diventa palpabile quando Alma, immersa nel racconto del sopravvissuto all’Olocausto, si trova in uno stato di sogno liminale. Questo sogno si manifesta come una realtà parallela, portando la classe in un viaggio all’interno del porcile menzionato all’inizio del racconto dal sopravvissuto.
L’allegorica figura del maiale, precedentemente incarnazione salvifica nel racconto della testimonianza, si trasforma ora in una potentissima metafora dell’odio e della necessità di esorcizzarlo. Il punto culminante della scena si manifesta in un atto simbolico di liberazione: il maiale imponente, colpito e vincolato, inizia a metamorfosarsi in un cucciolo. Tale trasformazione personifica il profondo desiderio di superare lo strazio storico, liberandosi dall’odio e abbracciando la virtù del perdono.
Il cortometraggio esplora la complessa struttura della memoria collettiva. Nato dalla necessità della regista di rispondere a un interrogativo cruciale: è possibile trasmettere la memoria senza generare paura e odio? La risposta si dispiega con delicatezza nella trama, senza esito positivo. La serenità che segue la tempesta, incarnata nell’abbraccio di Alma al cucciolo di maiale, si trasforma in un simbolo tangibile del superamento del trauma, della presa di consapevolezza e dell’impegno nel prendersi cura della propria coscienza, non prima di una lotta interiore, l’atto di rivoluzione utile ai fini di una purificazione da ciò che ci spaventa, rendendoci irrazionali.
Letter to a Pig è un capolavoro, in selezione ufficiale agli Oscar 2024, proiettato in selezione al TokoFilmFest 2022, che fai non te la tiri?
La potenza e profondità di questo cortometraggio ti invita a riflettere sul passato; dirigi con calma le emozioni che ti susciterà.
Letter to a pig è uno di quei lavori che merita di essere visto e rivisto.