di Matteo Cantarella
Dal 2016, anno di uscita della prima stagione, The Crown è il vero gioiello della corona di Netflix. Con uno stile elegante -regale azzarderei a dire- indaga e racconta la vita di una delle figure più importanti dell’ultimo secolo: Elisabetta II. Ideata da Peter Morgan fin dall’esordio riscuote un notevole successo. Questo è dovuto sicuramente ad un ottimo equilibrio che la serie raggiunge tra l’accuratezza storica e la libertà di romanzare, tra uno sguardo critico e rivelatore di nuove ombre e uno sguardo neutrale e rispettoso. Ma su questo potremmo scrivere un intero nuovo articolo. Ora invece parliamo dell’altra ragione di tale successo: il cast. Tutto e sempre di altissimo livello vede nomi come Vanessa Kirby, Helena Bonham Carter, Gillian Anderson, Josh O’Connor e Jonathan Priyce. Le vere protagoniste sono le tre interpreti delle varie versioni della regina: Claire Foy, Olivia Colman e Imelda Staunton. Ognuna di loro è chiamata a interpretare un età, e quindi un’ epoca e una crescita della regina, di uno stato e di un’intera generazione.
Claire Foy è Lilibet: una regina inesperta, a tratti timida, ma non per questo fragile. Il personaggio portato in vita da Foy combatte perennemente tra i suoi ideali e le regole che il suo nuovo ruolo le impone. Inizialmente scopriamo una regina che spesso si sente imprigionata, impotente, alimentata da promesse di cambiamenti che solo in parte o quasi in niente riesce a mantenere. Le regole, la diligenza, il mondo in cui viene catapultata le rivelano che è molto di più di una persona ma rappresenta un’istituzione e una tradizione. Perennemente in conflitto tra due epoche, Foy mette in scena la regina più umana e quindi più fallibile. Promette di dedicarsi alla sua famiglia ma quando arriva il momento di compiere delle scelte nulla può essere messo in primo piano se non la corona, neanche sua sorella o suo marito. Sicuramente la più protagonista tra le tre, la regina di Foy vive due conflitti molto forti sia con il principe Filippo (Matt Smith) che con la sorella Margherita (Vanessa Kirby). Entrambi offuscati dalla luce di Elisabetta la accusano della loro infelicità, ma non possono fare altre se non arrendersi davanti a colei che, volendo o no, inevitabilemte vince. Sempre. Eppure queste vittorie devono riscuotere il loro prezzo da pagare, tra sacrifici, giochi di potere e vecchi rancori.
Se le prime due stagioni sezionavano dall’interno il conflitto umanità-istituzione mostrando le crepe di quello che agli altri doveva apparire come un immutabile monolite, le due stagioni successive compiono un passo in avanti. Lasciano ascendere le figure regali -non più ormai giovani ed inesperte- ai simboli istituzionali che sono chiamati ad essere, mostrando il conflitto che scaturisce dall’incontro con le nuove generazioni al passo coi tempi moderni. La regina di Olivia Colman è ormai il perfetto risultato della corona, devota alla sua causa e alla sua sopravvivenza. Rimane chiusa nella sua bolla di privilegio scrutando con passività se non con diffidenza il mondo degli anni ’70 e ’80. In una certa misura è inghiottita da quel sistema che da giovane la tormentava e finisce per ripetere gli errori di cui lei stessa ha subìto le conseguenze. Uno dei fulcri tematici è il rapporto con i suoi figli, tra tutti il Principe Carlo (Josh O’Connor) che nella terza stagione è alla ricerca di un identità e di un posto in mezzo a chi una casa e una libertà non sembra potergliele concedere. Il personaggio della regina si distacca dal vero e proprio personaggio come lo conosciamo e diventa un simbolo a cui tutti gli altri orbitano intorno. Persino figure carismatiche come la Thatcher e Lady Diana vengono raccontate solo come storie che si incrociano con la corona. Le nuove stagioni ampliano il loro respiro e ci permettono di esplorare i luoghi e i tempi fuori dalla vita di corte. Del Primo Ministro inglese ne viene giudicata la politica ma esaltata la forza d’animo con uno stupendo episodio che mette a confronto le due teste dello stato, ma se una è destinata a tornare a terra,l’altra, Elizabeth, è, condannata forse, a farsi “divina”.
Infine le ultime stagioni, di cui l’ultima parte della sesta è in uscita su Netflix il 16 dicembre, rappresentano il racconto in maniera più documentarista. Siamo negli anni ’90 e qui il punto di vista è quello dei tabloid. I fasti della corona sono lontani e quasi la totalità delle stagioni è dedicata ai personaggi di Diana e Carlo. Imelda Staunton nonostante sia la meno protagonista è quella che secondo me ha ereditato il compito più difficile. Ormai la regina è assolutamente consapevole del suo ruolo: essere anche lei serva del popolo e della corona, con l’ unico compito di tenere unita la famiglia. La risolutezza, l’austerità della regina attraversano lo sguardo fiero ma anche nostalgico e fragile di Staunton, chiamata ad impersonare il ricordo più recente della vera Elisabetta. Gli autori infatti non rischiano né provano a modificare un immaginario ormai così assodato e vivo nei ricordi, ma si concentrano sui rischi che la corona corre come istituzione. I nuovi reali sono capricciosi, ribelli e rivendicano un’infanzia e una libertà che ai tempi gli fu negata ma che ora la modernità gli concede di esercitare tra scandali e gossip. La nuova regina appare stanca quanto indulgente anche se alla fine dovrà finalmente arrendersi alla volontà di un altro tempo, che segna, in realtà non per la prima volta, una insanabile ferita.