“La voce umana” di Pedro Almodóvar

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Tilda Swinton in the human voice

di Anna Pitta

Recentemente al cinema con La stanza accanto (2024), il regista spagnolo Pedro Almodóvar, noto per sceneggiature basate su passioni e sentimenti sempre più sofisticati e “colorati”,  con un’abbondanza di elementi scandalistici e provocatori, realizza nel 2020 il cortometraggio La voce umana, con Tilda Swinton  protagonista.

La pièce, fortemente amata da Almodóvar, è dello scrittore francese Jean Cocteau. Il regista ha tentato più volte di inserirla nei suoi lavori senza mai riuscire, a suo dire, a conferirle il valore che meritava.

Nel 2020 decide di dedicarle un cortometraggio The Human Voice, 30 minuti di girato dal linguaggio intimo e potente. The Human Voice, è la messa in scena di un’umanità emotiva. Qui, la voce emerge come ponte tra il dolore interiore e la possibilità di rinascita. Persino l’abbaiare di un cane, altro protagonista della storia, riflette, in questa narrazione, il tumulto emotivo e la solitudine che permeano l’intera vicenda.

Un amore mai raccontato fino in fondo

La trama è essenziale ed emotivamente densa: una donna, interpretata dalla già citata Tilda Swinton, l’Isabella di Francia del film Edoardo II, che le è valso la Coppa Volpi come miglior attrice nel ’92, la Karen Crowder nel film Michael Clayton, per il quale ha vinto l’Oscar alla miglior attrice non protagonista e un BAFTA nel 2007. La ritroviamo nella trilogia de Le cronache di Narnia  (2005, 2008 e 2010), Il curioso caso di Benjamin Button (2008), Snowpiercer (2013), Grand Budapest Hotel (2014), A Bigger Spalash (2015) e la lista continuerebbe ancora.

Adesso Tilda veste i panni di una donna, senza nome, protagonista del corto, criptica nel volto, enigmatica nei movimenti, mentre aspetta in casa. Si muove solennemente tra le stanze di una scenografia cinematografica volutamente artificiale. Aspetta la persona amata, qualcuno che è stato, ma non è più, parte della sua vita.

Ogni elemento scenico diventa simbolico: le valigie, attorno alle quali il cane, altro protagonista del cortometraggio, si muove con curiosità e malinconia, richiamano un passato che persiste nei dettagli. Un vestito vuoto, posato sul letto, diventa il simulacro di chi non c’è più, dormendo accanto a una protagonista che trasuda bisogno di attenzioni, prigioniera di una disperazione viscerale.

La voce umana

 

Il peso di una chiamata

Quando il telefono squilla, la tensione raggiunge l’apice. La prima chiamata è persa, un silenzio assordante che amplifica il senso di vuoto. La protagonista, sopraffatta dalla perdita di controllo, impugna un’ascia e distrugge simbolicamente ciò che resta del suo amore. Poi, una seconda chiamata arriva: è qui che il monologo scritto da Cocteau prende vita, riadattato con lo stile inconfondibile di Almodóvar. Attraverso le parole, la donna rivive la storia di un amore giunto al termine, tra abitudini scomposte, comfort zone dissolte e la dolorosa memoria di un’intimità ormai svanita.

La voce umana

La scenografia: linguaggio visivo e simbolico,
sciogliamo insieme i punti cardine

La casa, chiaramente ricostruita in un teatro di posa, non cerca di essere credibile come spazio reale, ma diventa un’estensione simbolica dell’interiorità della protagonista. Almodóvar si diverte a dare senso ad ogni oggetto presente nello studio che ha acchitato, sfrutta questo elemento per:

  1. Rendere omaggio al teatro: la scenografia non nasconde le sue origini teatrali, celebrando l’arte performativa e il legame con Cocteau.
  2. Arricchisce la narrazione emotiva: le valigie, il vestito vuoto, il fuoco, diventano metafora, un linguaggio visivo che vuol sostenere e arricchisce la narrazione emotiva. Ci troviamo nella psiche di un essere umano, Tilda si muove nell’interiorità dei sui sentimenti, cammina nel suo stesso processo emotivo, lo attraversa.
  3. Rivelare il “non-detto”: quando la casa prende fuoco e le quinte si dissolvono, emerge il vuoto dietro la rappresentazione, evocando il superamento del dolore e l’inizio di una nuova fase.

La scelta di un set volutamente artificiale forza lo spettatore a concentrarsi non sulla “verosimiglianza” del mondo rappresentato, ma sull’essenza delle emozioni. Questa mossa audace e poetica distingue il cortometraggio dalle rappresentazioni cinematografiche più convenzionali, rendendolo una vera opera d’arte visiva e concettuale.

Tilda Swinton

 

L’umanità della fragilità

È una vicenda universale – forse per questo motivo la donna del corto non ha un nome(?) – riconoscibile in modo quasi disturbante: la storia di una persona impotente, depressa, che ha perso il controllo. La voce che ascoltiamo non è solo un monologo, ma un flusso di emozioni che trova purificazione nell’atto finale del racconto.
E qual è l’elemento purificatore  e trasformatore per eccellenza?
Il fuoco.
La comprensione cosciente, nella forma più spirituale, attraverso la luce e la verità. L’elemento è rappresentato dall’Io dell’Essere, il suo calore forma la personalità del soggetto e il suo aspetto, la sua apparenza fisica, lo stato mentale, le disposizioni e le sue tendenze istintuali. Il Fuoco conduce la mente all’atto e all’azione psichica.

Una messa in scena volutamente teatrale

Il regista gioca con i colori, prediligendo saturazioni intense e vibranti, capaci di esaltare l’emotività senza mai apparire artificiosi. Non è un caso che la casa sia chiaramente ricostruita in un teatro di posa: un omaggio esplicito all’origine teatrale dell’opera. Almodóvar non nasconde le pareti finte, anzi, le rende parte del linguaggio visivo. Quando la casa prende fuoco, osserviamo le quinte consumarsi, rivelando il vuoto dietro la rappresentazione. La donna, ormai trasformata, esce dal teatro con il cane, compagno e testimone di questa rinascita interiore.

La voce umana

Tags: la stanza accanto, La voce umana, Pedro Almodovar, the human voice, Tilda Swinton

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