Il migliore dei mali è il film d’esordio di Violetta Rovetto, aka Violetta Rocks: youtuber, attrice, sceneggiatrice e ora anche regista! Il film è la trasposizione cinematografica del suo primo fumetto “Il migliore dei mali- l’uomo di latta“, primo volume di un racconto diviso in due parti. Il film è una storia di formazione per ragazzi che attraversa diversi generi e abbraccia tante tematiche. Un’esordio solido che nonostante affronta i limiti di un budget molto piccolo e di qualche errore dovuto forse all’ inesperienza, può contare su una sceneggiatura forte e “fresca” e sull’ambizioso tentativo (riuscito) di lavorare su generi e tematiche ora lontane dal panorama italiano.
Il migliore dei mali: cinema per ragazzi
La storia inizia quando Ettore (Giuseppe Pallone) arriva nella nuova casa in un piccolo paesino della Calabria. Qui la madre (Annalisa Insardà) deve iniziare un nuovo lavoro presso l’azienda Termaranto. Stringe subito amicizia con un gruppo di coetanei, unendosi nella ricerca del cane scomparso di uno loro, Milo (Niccolò Bizzoco). Gli altri membri sono Dante (Matteo Ferrara), Neri (Andrea Arru), con cui Ettore entra in competizione, e Michelangelo (Riccardo Antonaci), con cui invece stringe subito un legame speciale. La ricerca del cane porterà a galla verità nascoste e pericoli incombenti che metteranno alla prova il nostro gruppo e le loro “speciali” qualità.
Il film ci riporta indietro negli anni ’90 con un forte effetto nostalgia. I costumi e la scenografia contribuiscono a ciò e restituiscono anche quell’estetica “cartoonesca” che emerge dal fumetto. Più di tutto aiuta però la colonna sonora formata da canzoni orginali di Tecla Zorzi che rievocano il sound da punk band di fine anni ’90. La regia di Violetta è una regia molto classica che segue la narrazione e studia bene i personaggi e i luoghi. I tanti beauty shot sugli spazi in cui agiscono i protagonisti rendono in realtà lo stesso ambiente parte integrante della storia: la cameretta di Milo, la stanza proibita di Dante, la spiaggia, sono tutti spazi che raccontano una storia e i personaggi.
Anche la sceneggiatura è solida. Tutto è seminato alla perfezione e conduce lo spettatore senza fatica al finale. Alcune scelte possono risultare un po’ incredibili ma il genere ci aiuta a chiudere un’occhio. La seconda parte è decisamente la parte forte del film. Nella prima metà infatti il ritmo è un po’ calante e l’affiatamento del gruppo non troppo presente. Nella seconda invece, grazie anche ad un’ottima gestione della tensione e dell’azione, il film si apre e anche il gruppo sembra più compatto e “credibile”. Soffrono invece i limiti di un basso budget gli scompartimenti più tecnici, soprattutto quello del sonoro. Al di là dell’aspetto tecnico del film, quello che sorprende e che è davvero degno di nota e la sua anima, le tematiche e l’operazione che tenta di fare.
Parola chiave rappresentazione
Nonostante sia un film di avventura per ragazzi ( o forse proprio per questo), Il migliore dei mali ha diversi piani di lettura ed esplora tante tematiche. Quella a cui tutte le altre ruotano è l’alterità, la diversità. Ognuno dei nostri giovani protagonisti ha una ragione per sentirsi solo e un segreto da custodire. C’è in loro la paura di non essere accettati, capiti e voluti bene. C’è in loro la paura di essere respinti e il peso di una responsabilità e un senso di colpa troppo pesanti per la loro età. Quando i loro segreti vengono a galla, capiscono di non essere soli, di poter contare l’uno sull’altro, e trovano nelle loro diversità ciò che invece li rende simili. È una lezione importante quella che lascia Il migliore dei mali: la prova che l’amicizia, la forza del gruppo, può essere àncora di salvezza e porto sicuro.
Non possiamo parlare di diversità e di outsider senza toccare i personaggi di Ettore e Michelangelo. Cercherò di non fare spoiler, ma la loro amicizia è qualcosa che forse va oltre. Esplorare le tematiche e la rappresentazione queer sembra essere raro nel cinema italiano (soprattutto se fatta bene). Il migliore dei mali ci regala una storia tenera con cui è facile empatizzare, soprattutto ricordando le nostre prime cotte. Il sottotesto non si limita all’esplorazione dell’orientamento sessuale (che finalmente non viene specificato a caratteri cubitali e non caratterizza il personaggio) ma esplora anche il tema dell’identità di genere e della fluidità, in maniera intelligentissima e delicata. Trovo estremamente interessante e anche fondamentale che si esplori l’esperienza queer giovanile e pre adolescenziale che spesso viene evitata per via di stigmi e tabù (completamente fuori genere ma penso a Close e a Monster che compiono la stessa operazione)
Non finisce qui. Un altro livello di lettura, forse quello più per adulti, è rappresentato dalla tematica ambientale e lavorativa. La fabbrica di Termaranto è il villain della storia: un luogo pericoloso che inquina l’ambiente e l’anima delle persone che vi orbitano intorno. È un luogo che rimane inesplorato, lontano dai nostri protagonisti, ma che come l’occhio di Mordor sovrasta tutto il paese. Il film intercetta una tragica condizione del lavoro che ancora dagli anni ’90 persiste, specialmente al sud Italia. Un mondo fatto di precarietà e insicurezza che costringe i lavoratori ad accettare condizioni disumane pur di non perdere il lavoro.
Lo spaghetti teen drama
Un altro merito del film è quello di giocare su diversi generi. Seppur come detto la regia e la struttura rimangono classiche senza osare, l’operazione compiuta sui generi è un vero azzardo. La decisione di voler portare nel panorama contemporaneo un film così è stata sicuramente ambiziosa e alla fine vincente. Il “migliore dei mali” di non avere un grande budget è stato quello di poter sperimentare e avere maggior libertà di movimento. Il film è un misto tra il coming of age, l’avventura, lo sci-fi e il teen drama. Sapientemente prende alcuni elementi da ogni genere: la storia di formazione del filone Stand by me, il soprannaturale alla Spielberg, gli intrecci sentimentali, e ne ricava un mix equilibrato e funzionante.
La grande operazione compiuta è l’adattamento di questi generi all’italianità. Il cinema italiano, seppur nella sua storia si è scontrato con questi generi, ne è ora molto lontano. Questo è dovuto sia ad un fattore economico sia alla tradizione. Gli alieni atterrano sempre a New York, non crederemmo mai se decidessero di visitare l’entroterra calabrese insomma. Il migliore dei mali però riesce ad essere credibile poichè immerge la storia in quell’italianità di cui sopra, senza voler emulare l’incredibilità di Hollywood ma restituendo una realtà legata al nostro territorio.
Credo sia fondamentale per il nostro cinema un ritorno al genere e alla sperimentazione. Ci ha provato Il ragazzo invisibile di Salvatores senza riuscirci, e ci sta provando Gabriele Mainetti con ottimi risultati. L’esordio di Violetta è un altro segnale che lascia ben sperare, soprattutto perchè dimostra come anche il cinema indipendente sia capace di restituire storie di questo genere senza far affidamento su enormi capitali.
Matteo Cantarella
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