Uno sguardo sull’autorialità femminile nel cinema contemporaneo.

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Di Beatrice Mele

 

Il legame che si è consolidato tra il cinema e la figura della donna è duraturo tanto quanto l’esistenza del cinema stesso. Tuttavia, lo spazio dedicato ad essa, in passato, è stato marginale e limitato. Ad oggi, parlare di “femminile” nel cinema italiano, diviene un’operazione tanto importante quanto complessa.

foto: Alice Rohrwacher sul set del film la chimera, Eduardo Castaldo Rb Cating

  1. Il cinema realizzato dalle donne non è un brand.

Attualmente l’industria cinematografica mondiale e nazionale, grazie a diversi cambiamenti avvenuti con il passare del tempo, ha permesso la crescita e la conseguente legittimazione del ruolo della donna in quanto autrice.

Lungo la storia del cinema, in particolare nella fase embrionale denominata “cinema primitivo”, le donne hanno avuto un ruolo importantissimo nella creazione della prima idea di narrazione cinematografica. Le dinamiche di potere cambiano con lo sviluppo del cinema hollywoodiano. I ruoli, all’interno del sistema cinematografico perdono d’importanza, l’autorialità non viene più riconosciuta ad una sola persona, l’unico potere è nelle mani del produttore. Con il Neorealismo e la Nouvelle Vague, il concetto di autorialità del cinema si impone come uno dei principali elementi di riflessione, in relazione alla nascita del cinema moderno.

 2. Autore- Autrice costruttore di esperienza di vita.

L’autorialità nel cinema è centrale per determinare lo stile, il marchio, il vero e proprio segno di riconoscimento che ne indica in un film, l’unicità e la soggettività. Dopo tutto il cinema racconta una storia attraverso il filtro di chi desidera dargli una vita.

Troppo a lungo la narrazione del femminile è stata filtrata dal male gaze, termine coniato dalla teoria femminista per identificare lo sguardo sessualizzante che lo spettatore maschio eterosessuale agiva sulle donne.

Questo ha fatto si che si creassero delle aspettative nei confronti delle narrazioni delle donne, la cui unica caratteristica sembra essere un tipo di narrazione intimista, sensibile, romantica, sensuale come se nel vocabolario quotidiano e cinematografico delle donne, altri sentimenti come la rabbia, la vendetta e l’insoddisfazione non fossero contemplati.

Sono diversi gli esempi dei ritratti delle donne, scritti da uomini nel cinema: estrema tragicità e sensualità esplicita sono le caratteristiche più quotate.

Quando la narrazione “del femminile” è frutto di una scrittura maschile, se ne perde l’autenticità e la veridicità. Solo successivamente, si parlerà di female gaze, ovvero sguardo femminile, che farà luce sulla soggettività delle donne, portando un cambio di prospettiva nella rappresentazione cinematografica.

C’è bisogno di una ridefinizione dei canoni cinematografici femminili, non tanto paragonandoli costantemente a quelli maschili, ma aspirando ad una parità che ne legittima la narrazione senza ricadere in stereotipi inutili e  limitanti.

La soluzione principale è lasciare che le donne raccontino e si raccontino, attraverso il proprio sguardo, attraverso la propria esperienza.

Il primo esempio di questa rubrica che si occupa dell’analisi dello sguardo dal punto di vista della donna nei film, ha come protagonista Alice Rohrwacher.

   3. Alice Rohrwacher e lo sguardo politico: lo spirituale, osservato con la lente del realismo.

La regista e sceneggiatrice Alice Rohrwacher, con il suo primo lungometraggio Corpo Celeste, del 2011, introduce nel cinema contemporaneo italiano uno sguardo innovativo.

Il film pone una riflessione politica sulla crescita e la formazione identitaria e spirituale in un ambiente rurale poco avvezzo al cambiamento, filtrato dallo sguardo della protagonista.

La tematica principale del film è la progressiva presa di coscienza di Marta, una ragazzina che si trasferisce  dalla Svizzera a Reggio Calabria e viene coinvolta nella preparazione per ricevere il sacramento della cresima, simbolo di conferma di tutti quelli che sono stati i sacramenti accolti in precedenza.

 

La crescita spirituale di Marta, si struttura sulla ricerca del corpo celeste inteso come un’ entità lontana e perfetta a cui aspirare. Questo percorso di formazione è paradossalmente condito da violenza, ideali corrotti e tanta ipocrisia.

Prima di tutto, Marta è un outsider, che cerca di entrare a far parte di una realtà già ben consolidata. L’esperienza raccontata è la crescita in un ambiente particolarmente opprimente, giudicante e ipocrita.

La protagonista, così come lo spettatore, è portato a fare una riflessione e a prendere, di conseguenza, una posizione rispetto agli eventi narrati. Diversi sono i momenti di realizzazione, per Marta, tra cui la caduta del crocifisso che quasi si getta in mare, come segno di disperazioni pur di allontanarsi dalla comunità a cui non sembra voler appartenere.

Caduta del Crocifisso nel film Corpo Celeste 2011.

Altro momento che segna la fine dell’illusione di Marta è la conversazione con il prete anziano nella cittadina abbandonata.

L’unicità di questo film, sta nella rappresentazione, di una crescita, fisica e mentale, all’interno di un contesto estremamente fragile e ipocrita, la cui apparente stabilità viene demolita quando si scopre che ci sono innumerevoli creme in un muro che appare liscio alla vista.

 

 

 

Tags: Alice Rohrwacher, autorialità femminile, cinema, nuovo sguardo

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