I sottotitoli nel cinema orientale: intervista a Eloisa Catena

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di Desirée Altobelli

Sulla teoria della traduzione sono state scritte pagine e pagine di manuali, guide e autobiografie di traduttori famosi. Oggi sappiamo che tradurre vuol dire trasportare non solo una lingua, ma un’intera cultura, valori sociali e morali in un contesto spesso totalmente differente. Proprio per questo quello del traduttore non è un mestiere facile: non basta sapere esattamente cosa significa una parola, ma bisogna calare sempre il testo, nella sua interezza, nel con-testo in cui è prodotto.

Chi traduce deve conoscere benissimo la lingua e la cultura, il sistema sociale e politico del testo di partenza, ma deve anche saperli rendere nel migliore dei modi possibili in un’altra lingua, cultura e sistema socio-politico. Quello del traduttore è un mestiere fatto di attenzione ai dettagli, ricerca della parola esatta, ansia di tradire il testo e il con-testo di partenza, scadenze impellenti e, spesso, precarietà. Eppure, è sempre stato un mestiere molto amato e praticato, forse per una ardente sete di conoscenza di ciò che è altro.

Negli ultimi anni, le traduzioni pirata di serie animate orientali, prima, e il boom delle piattaforme dello streaming, poi (Netflix, Prime Video e Disney+, solo per citare le più famose), hanno portato in Italia a una vera e propria rivalutazione dei prodotti audiovisivi in lingua originale. È così che cresce sempre di più il numero dei sottotitolatori di professione: traduttori esperti dell’audiovisivo, che oltre alle scadenze pressanti condividono, con i loro fratelli maggiori, un quasi totale anonimato e precarietà lavorativa. 

 

 

Oggi ci concentriamo sulla traduzione dall’oriente: cosa significa davvero tradurre un prodotto audiovisivo orientale? E quali sono le difficoltà che un traduttore italiano può incontrare lungo il suo percorso? 

Ne parliamo con Eloisa Catena, traduttrice dal giapponese e alle prime armi con il mondo del sottotitolaggio.

Ciao Eloisa, raccontaci qualcosa di te e della tua esperienza nella traduzione! 

Salve a tutte e tutti! Sono Eloisa Catena e ho studiato giapponese nel dipartimento di Lingue e Civiltà orientali dell’università La Sapienza di Roma. Subito dopo la laurea magistrale ho frequentato un master in traduzione specializzata, che mi ha permesso di fare esperienza con vari tipi di traduzione: letteraria, umoristica, editoriale, per internet e spettacolo e, infine, audiovisiva. Ho tradotto dei manga ancora inediti in Italia. Ma, soprattutto, mi sono occupata dei sottotitoli per alcuni prodotti audiovisivi presentati nel corso della rassegna sul cinema giapponese Ottobre Giapponese, organizzata in collaborazione con il Ravenna Nightmare Film Fest. Tra questi, i cortometraggi della regista d’animazione Honami Yano, il film documentario “The past is always new the future is always nostalgic” di Iwama Gen sul fotografo Daido Moriyama, e il film “Dozens of Norths” di Yamamura Koji.

 

Il fotografo Daido Moriyama in The past is always new the future is always nostalgic di Iwama Gen

 

Pensi che sottotitolare da una lingua orientale (nel tuo caso dal giapponese) presenti maggiori difficoltà rispetto a una lingua europea, o comunque per noi più familiare? Potresti raccontarci quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi?

Penso che la struttura della frase giapponese (Soggetto – Oggetto – Verbo), totalmente opposta a quella italiana, possa essere percepita come la maggiore difficoltà e differenza rispetto a una lingua europea più vicina alla nostra. In particolare, la lingua giapponese ama mettere alla fine non solo il verbo, ma anche tutte le informazioni più importanti del discorso nonché le proposizioni principali. Questa caratteristica può mettere in difficoltà chi sottotitola, soprattutto quando subentrano anche gli altri limiti da rispettare, come la lunghezza del sottotitolo, la sua durata o la coerenza con il video.

Per fortuna, l’italiano offre più flessibilità e, ove possibile, si possono scambiare facilmente subordinate e proposizioni principali: questo può essere un vantaggio, ma bisogna sempre fare attenzione a non lasciare sottotitoli “in sospeso” o collegati fra loro in maniera poco naturale. Inoltre, quello che può essere a volte uno svantaggio è la mancanza di genere e numero nella lingua giapponese: può diventare difficoltoso tradurre, infatti, quando l’italiano esige l’utilizzo del maschile/femminile o del singolare/plurale e non si hanno tutte le informazioni necessarie per fare la scelta giusta. In generale, un altro svantaggio può essere anche la presenza di parole, formate da due o quattro ideogrammi, che in italiano diventano nettamente più lunghe e possono scontrarsi con il numero di sillabe ammesso per ogni sottotitolo.

 

Locandina del cortometraggio animato A Bite of Bone della regista Honami Yano
Locandina del cortometraggio animato A Bite of Bone della regista Honami Yano

 

Tra fedeltà al testo o al senso, esiste una via di mezzo?

Secondo me, la vera sfida della traduzione, e di quella dal giapponese, è proprio trovare la vera via di mezzo tra la fedeltà al testo e quella al senso. Dalla mia esperienza ho potuto notare che le mie prime traduzioni presentavano molta più fedeltà al testo e anche alla struttura della frase, a discapito spesso di un italiano scorrevole. Con il tempo si impara a dare la giusta importanza ad entrambe le fedeltà e a bilanciarle a seconda dei contesti: il senso comunque ha la priorità assoluta ed è sempre la fedeltà al testo ad essere sacrificata di più. 

E con i proverbi e le frasi idiomatiche, come si fa?

Generalmente, se il proverbio o la frase idiomatica non rendono in maniera letterale, cerco di trovare i proverbi o le espressioni idiomatiche corrispondenti in italiano, che possano veicolare il medesimo senso. Cerco di lasciarmi come ultima spiaggia la spiegazione, tra parentesi o con asterisco, dell’espressione in questione, per distrarre il meno possibile gli spettatori/lettori. La vera sfida possono essere i giochi di parole intraducibili in italiano: il trucco sta nel ricreare il medesimo meccanismo del gioco con parole però italiane, così da trasferire lo stesso tipo di risata dal pubblico giapponese a quello italiano. E non è sempre facile, perché ciò che fa ridere in una cultura non è detto che faccia ridere anche in un’altra.

Ci racconti un episodio che ti ha messo in difficoltà? Come ne sei uscita?

Non è un episodio in particolare, ma tra i cortometraggi e i film che ho sottotitolato ce ne sono stati alcuni con i sottotitoli in inglese inglobati nel video: se l’inglese, lingua più vicina all’italiano, può aiutare nell’interpretare correttamente le frasi originali, in molti casi, in realtà, mi ha messo in difficoltà. Ho notato che nelle traduzioni dal giapponese all’inglese, quest’ultima tende a semplificare e a riassumere di più il messaggio rispetto all’italiano.

Soprattutto nel caso di una narrazione misteriosa e oscura come nel film “Dozen of Norths” di Yamamura Koji, le scene frammentate e la mancanza di una trama lineare potevano dare vita a interpretazioni diverse anche solo in base al verbo scelto. Inoltre, la presenza di didascalie in inglese integrate nel video ha posto l’ulteriore problema della scelta fra fedeltà alla lingua originale giapponese e il rimanere vicini alle descrizioni in inglese. In molti casi, ho optato per una traduzione che fosse una via di mezzo fra il giapponese e l’inglese, ma non è stato sempre facile.

 

Dozens of Norths di Yamamura Koji
Dozens of Norths di Yamamura Koji

 

Qualcosa di particolarmente divertente che ti è capitato?

Non so se definirlo divertente, ma sicuramente è un aneddoto che mi ha fatto riflettere e anche un po’ sorridere. Durante il sottotitolaggio del primo cortometraggio animato della regista Honami Yano, io e la mia collega ci eravamo divise il lavoro come sempre: lei si sarebbe occupata dei sottotitoli della prima parte, io della seconda. Fin qui nessun problema, se non che, quando abbiamo unito i nostri sottotitoli, ci siamo accorte di una grossa differenza: mentre per la mia collega la giovane protagonista del cortometraggio era una bambina, io pensavo fosse un bambino. La mancanza di genere nella lingua giapponese, il tipo di animazione e la narrazione enigmatica non avevano aiutato a interpretare in maniera univoca il genere della protagonista.

Alla fine, una visione più attenta dell’opera e le informazioni fornite da un nostro professore ci hanno aiutato a capire che si trattava di un cortometraggio autobiografico e che la regista aveva raffigurato se stessa da bambina. Da qui ho imparato ancor di più come non bisogna dare nulla per scontato nella traduzione e come sia fondamentale anche informarsi e fare domande, ove possibile, agli autori o ai loro rappresentanti, così da capire meglio cosa ci sia dietro un’opera e il messaggio che si vuole veicolare.

Tags: cinema, cinema giapponese, cinema orientale, Daido Moriyama, Honami Yano, Iwama Gen, Netflix, Ottobre giapponese, Ravenna Nightmare Film Fest, sottotitoli, traduttore, traduzione, Yamamura Koji

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