Charlotte et son jules: il silenzio smonta l’arroganza

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di Anna Pitta

Il quarto cortometraggio di Jean-Luc Godard, datato 1961 – Charlotte et son jules – rappresenta l’essenza del suo cinema parlato.

Qui, le parole non seguono il pensiero, lo precedono.
È un flusso continuo, quasi aggressivo, che Jean-Paul Belmondo, nella parte di Jean, usa per proteggersi e difendersi dalla sua stessa vulnerabilità. Ma dietro ogni frase c’è una sottile fragilità che si svela lentamente, nascosta tra le pieghe del suo monologo.

Estratto “Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard”

Jean-Paul Belmondo e Anne Colette, nella parte di Charlotte, interpretano una coppia che non esiste più, che si aggrappa a un passato indefinito.
Charlotte ha scelto di seguire le sue ambizioni nel cinema, lasciandosi alle spalle un uomo che, nonostante l’eloquenza e la sicurezza ostentata, è chiaramente perso senza di lei. La vera distanza tra loro non è solo fisica, ma psicologica: Charlotte ha già fatto il suo percorso di emancipazione, mentre Jean è rimasto incastrato in un ciclo di illusioni e frustrazioni.

Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard
Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard

 

Il dialogo nel cortometraggio, non è un vero scambio, come accennato poco sopra. È un monologo furioso, in cui Jean tenta di riconquistare un potere che sente di aver perso, oscillando tra l’adulazione e il disprezzo.
Nei suoi tentativi di controllare la narrativa della relazione, suggerisce  che Charlotte farebbe meglio a “svendersi” piuttosto che inseguire i suoi sogni. Dimostrazione di arroganza che riflette il suo desiderio di dominare e la sua paura di restare solo.

Godard sceglie di rivelare la natura di una relazione passata attraverso un monologo. In “Charlotte et son jules”, non c’è bisogno di flashback o spiegazioni dirette: il rapporto tra i due protagonisti si svela attraverso le parole di Jean, che raccontano più delle sue fragilità che della storia stessa.
Godard, con una sensibilità acuta verso le dinamiche umane, riesce a rappresentare la complessità delle relazioni senza mai definirle chiaramente. È il regista che racconta i dilemmi della mente, le sue contraddizioni e fragilità, incarnando in modo perfetto lo spirito del cinema francese: un’arte che si nutre di sfumature, sottotesti e ambiguità.

Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard
Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard

 

Ma la scena più potente non è affidata alle parole, bensì al silenzio di Charlotte. Mentre Jean inonda la stanza con il suo flusso verbale, Charlotte risponde senza dire nulla: mangia il suo gelato, lo imita, lo deride. Ogni piccolo gesto diventa un affronto silenzioso alla sicurezza ostentata di Jean, una presa in giro che smonta, con leggerezza, l’arroganza dell’ex amante.

Charlotte et son Jules di Jean-Luc Godard
Anne Colette in Charlotte di Jean-Luc Godard

 

Il clacson che si sente ripetutamente dall’esterno è un simbolo evidente: la realtà chiama Charlotte fuori, invitandola a lasciarsi alle spalle quel mondo chiuso, ristretto all’interno di un piccolo appartamento che una volta condividevano. È il richiamo della sua autonomia, reso ancora più pungente dalla sua motivazione per essere lì: “Devo solo recuperare il mio spazzolino.”

Godard non si limita a mostrare la fine di una relazione: ci rivela come la comunicazione, quando manipolata per mantenere un’illusione di controllo, perda il suo senso. In Charlotte et son Jules, è proprio il silenzio – l’ironia sottile e la calma imperturbabile di Charlotte – a disfare il castello di carte di Jean. È una sfumatura delicata ma fondamentale, che trasforma il cortometraggio in una riflessione sulle limitazioni e le trappole del linguaggio stesso.

Fun fact:

  • La voce di Jules è di Jean-Luc Godard.
    Il giorno in cui dovevano registrare le voci, Jean-Paul Belmondo arrivò in ritardo. Questo portò Godard a fare una scelta improvvisata e usare la propria voce per il personaggio di Jean.
  • L’incontro che cambiò la carriera di Belmondo.
    Si era avvicinato mentre mi trovavo nella terrazza di un caffé. Aveva gli occhiali neri, un accento strano… non sapevo fosse svizzero. Mi invita a girare una scena a casa sua, in una camera. Credevo fosse omosessuale, ma mi ha convinto ad andare con lui. Era per il  cortometraggio Charlotte et Jules. Durante le riprese, Godard faceva tutto il contrario di quanto avessi mai visto al cinema. Mi dava totale libertà, lasciandomi improvvisare. Fu incredibilmente creativo, e capii subito che era un regista rivoluzionario”.

    Jean-Paul Belmondo e Godard
    Jean-Paul Belmondo e Godard

     

  • Cortometraggio QUI

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    Con la sua regia fatta di inquadrature nitide e primi piani intimi, “The last repair shop” esplora il concetto di “seconda possibilità”.

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