di Luigi D’Auria
Adattamento cinematografico del romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen e vincitore di ben 3 European Film Awards, Bastarden (The Promised Land) arriva nelle sale italiane dal 14 marzo, distribuito da Movies Inspired.
Copenaghen 1755. Lo squattrinato capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) parte alla conquista dell’ aspra e desolata brughiera danese con un obiettivo apparentemente impossibile: costruire una colonia in nome del Re. In cambio, riceverà per sé un titolo nobiliare disperatamente desiderato. Ma il signorotto di zona, lo spietato Frederik De Schinkel, ha la presuntuosa certezza che questa terra gli appartenga e farà tutto ciò che è in suo potere per scoraggiare il capitano. A Kahlen non resta che accettare la sfida, rischiando non solo la sua vita, ma anche quella della famiglia di emarginati che si è venuta a formare intorno a lui.
Io, capitano
Bastarden, il bastardo. “Termine generico per indicare un ibrido fra due razze”, o “di persona, nata da unione illegittima”.
La differenza tra l’originale e il ramazzottiano titolo dell’edizione internazionale (e italiana) racchiude il nucleo tematico del film di Arcel, presentato in concorso a Venezia80.
Ludwig è un imprenditore del ceto medio, ex giardiniere, che ha impiegato 25 anni per raggiungere lo status di capitano decorato. “Si comporta come un vero gentiluomo, ma i vestiti sono logori e le mani callose.” E’ ancora una volta la storia di una scalata “bastarda” al potere (dopo il film d’esordio Kongekabale) che manda fuorigioco ogni tentativo di definizione manicheista delle categorie valoriali.
Nicolaj Arcel porta nuovamente in scena un royal affair che si (e ci) interroga sulla natura temporanea di limiti e confini, sulla ridefinizione costante delle sottili linee rosse che scandiscono le strutture del mondo in cui viviamo, dove l’imbastardimento è ridiscussione. Siamo in un contesto ormai moderno, caratterizzato dalla fluidità delle soglie di classe, di sangue, di genere. La vita è caos, “Dio è caos” sottolinea più volte De Shinkel. Sembra non credere neanche lui alle divisioni prestabilite di una realtà troppo contemporanea per essere antica come la patina da film in costume vuol farci supporre.
E’ il suo ruolo di villain a costringerlo a tenere ancora in piedi il ponte levatoio, a segnare una differenza, rimarcandola con l’artificiosità di un ritratto con orso o con l’ostentazione goffa di quel “De” prima di Schinkel. E’ l’unico modo per continuare a proteggere il potere (podere) e inquadrare dall’alto (!) il capitano e la servitù (“De”fenestrata).
Lo stesso Re, cui il capitano interpretato da Mikkelsen dedica l’impresa, è un controcampo invisibile, fuoricampo massimo. E’ un occhio cieco, MacGuffin alla pari del titolo nobiliare promesso a Kahlen. (R)esiste solo in quanto funzione drammaturgica.
Bastarden si inserisce nella rivisitazione contemporanea (Slow West, First Cow, As Bestas, …) del western, calando personaggi e spunti di riflessione moderni in uno scenario di genere. Condivide con gli illustri colleghi Django Unchained e Aferim! il taglio non di montaggio, epitome di una pratica di castrazione sempre più frequente, atta a smussare le istanze più virili del genere macho per antonomasia, dirottando il discorso sull’utilizzo della frontiera come spazio del possibile, del reset, in cui coltivare (qui letteralmente) la costruzione politico‐sociale del mondo che sarà.
“Il modo in cui chiami le cose è il modo in cui finisci per viverle”. E’ qui, nella brughiera inesplorata e inospitale, che il capitano Kahlen sperimenta con la serva Ann Barbara, il reverendo cui presta il volto Gustav Lindh e la piccola Anmai Mus le possibilità di una famiglia queer a là Murgia (o per restare al cinema a là Koreeda), ampliando la risonanza della riflessione con temi atavici quali il confronto uomo‐natura e la dicotomia natura selvaggia-civiltà.
“Siete figlio di un proprietario terriero? Era mio padre, ma io non ero suo figlio.”
Bastardi senza gloria
Bastarden ha la bidimensionalità efficace di una graphic novel o del grande cinema di genere. Come il capitano Kahlen, Arcel copre i grandi temi con l’erica sprigionando tutta la forza tarantiniana del revenge movie e intessendo l’opera con processi di gamification (a tratti Farmaville, a tratti Red Dead) che, come in una sessione di Twitch, coinvolgono lo spettatore, tenendolo incollato al racconto.
Ma è anche un film che, nel suo procedere spedito, raggiunge la profondità con il valore cinematografico dei simboli.
La medaglia, spolverata con cura in apertura da Mikkelsen e poi umiliata da Hector il fuorilegge; la parrucca: infestata di pidocchi quella di Kahlen, rifiutata quella di Edel perchè troppo poco femminile; il contratto proposto con insistenza da De Schinkel, controcampo degli avanzi donati in elemosina; la grandine in POV e il primo germoglio trovato proprio da Anmai Mus. Fino ad arrivare alla stessa Edel, interpretata da una Kristine Kujath Thorp anche qui sick of herself, che prende in prestito il nome dall’antico termine germanico “adal” (“nobile”/ “prezioso”).
Non c’è nessuna gloria per i bastardi di Arcel. Il finale posticcio conclude la storia, redimendo Ludwig e convertendo il suo “non ho scelta” in un 31liberatutti “siamo le scelte che prendiamo”. Il capitano e Ann Barbara raggiungono il tanto agognato mare. Bastarden è, con I due volti della vendetta, uno dei pochi western a poterselo permettere.
FUORICAMPO:
‐LA terra promessa:
-Mads’ acceptance speech:
‐Il western contemporaneo: Aferim!, Slow West, First Cow, Il potere del cane, Django Unchained & The Hateful 8, As Bestas, … ;
‐I due volti della vendetta, unica regia di Marlon Brando e primo western vista mare (disponibile gratuitamente in streaming su Plex e YT);
‐Royal Affair, disponibile gratuitamente qui:
‐Le famiglie queer di Koreeda (Shoplifters, Father and Son, …);
‐Bastarden è co-sceneggiato da Anders Thomas Jensen. Nominato per tre anni consecuvi per l’Oscar al miglior cortometraggio, lo vince al terzo tentavo nel ’98 con VALGAFTEN (Election Night), disponibile qui:
‐Un altro re che non vuol vedere:
‐Avevamo apprezzato Kristine Kujath Thorp anche in Sick of Myself di K. Brogli (disponibile su Mubi);
‐”non permetterò che irrompano i coloni!”