Anora: il ribaltamento di un mito

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Anora

Tutto quello che Anora -per gli amici Ani- desidera, è trovare il principe azzurro che la porti a visitare il castello delle principesse a Disneyland. Un sogno disincantato perché Anora è una spogliarellista in un club della periferia Newyorkese, l’ Headquarter, dove, oltre a ballare e splendere sotto le luci della ribalta, si prostituisce anche. Sean Baker mette in scena un dramma travestito da commedia con il quale vince la palma d’oro e ottiene sei candidature agli oscar, tra cui miglior film, regia, attrice protagonista per Mikey Madison e miglior sceneggiatura.

Un mondo fatato: “a cinderella story”

La New York di Anora è proprio come il bosco di un regno fatato, e Ani ne è la principessa. Una bambina troppo cresciuta ma ancora piena di sogni, lavora come spogliarellista e sex worker in un locale pieno di luci al neon. Anora è fiera del suo lavoro anche se sogna un giorno di andare via e “sistemarsi” con un bel riccone. Il suo desiderio sembra avverarsi quando Ivan Zacharov, un miliardario russo di soli 22 anni, si innamora di lei. Ivan è come la nostra Ani, un bambino troppo cresciuto. Vive nell’agio più sfrenato e passa il tempo in festini, alcol e donne. Folgorato dalla bellezza di Ani la prende sotto la sua ala dichiarando amore eterno, e quindi pagandola il doppio, il triplo, di quanto la nostra eroina chiederebbe, per averla solo al suo fianco.

Per la prima parte del film Sean Baker dipinge la perfetta storia d’amore a cui tutti, compreso me, hanno creduto. La chimica tra i due attori ma soprattutto la scrittura dei loro personaggi ingannano il pubblico e tessono le tele di una perfetta rom-com. Lo spettatore cade nella loro trappola d’amore e vive con loro il sogno. Tra un’ estetica molto pop ma che non tradisce la regia elegante e discreta di Baker –A Florida project e Tangerine-, il film lentamente ci conduce nelle viscere di una storia che sotto la vita patinata del lusso e di promesse tanto romantiche quanto povere, nasconde il dramma delle disillusioni e della lotta di classe. Ivan sposa Ani che da un giorno all’altro si trova con più soldi di quanto abbia mai visto in vita sua.

Ecco che qui la realtà infrange il sogno, che piano piano diventa un incubo. I genitori di Ivan sono contrari al matrimonio: come può il loro splendido figlio aver sposato una prostituta? Ivan prima difenderà la sua scelta, ma poi scapperà, dimostrando quanto invece il suo sia stato un semplice capriccio. Qui il film si apre: il comedy diventa sempre più presente in scene straordinarie ma mai surreali tra Ani e gli scagnozzi di Ivan che cercheranno di riportarlo alla ragione. Una commedia in cui risuonano gli echi di un cinema molto contemporaneo come Triangle of sadness, che sa giocare ma senza rinunciare alla riflessione a alla “politica”.

Male gaze: maschere, corpo e potere

Anora è un personaggio di un estro sopraffino. Donna, anzi bambina, indipendente da sempre, sceglie la sua strada e le sue ambizioni senza dare spiegazioni a nessuno. Attraverso lo sguardo di Baker il personaggio femminile viene esplorato nell’animo e nel corpo. Nessuno dei due viene però “abusato”, restituendo un quadro complesso, affascinante, a tratti triste, e soprattutto vero. La regia di Baker è la dimostrazione di come sia possibile trattare esperienze,  raccontare storie che non bruciano sulla nostra pelle, senza romanticizzarle,  stravolgerle o restituirle a metà. La macchina da presa mostra corpi nudi, sia maschili che femminili, senza mai indugiare. Il corpo di Anora è sempre oggetto del desiderio di chi gli sta attorno ma mai di chi guarda poiché è il suo il punto di vista che lo spettatore in sala assume. 

Il film intreccia generi ma anche stili che spaziano dal cinema del vero alla farsa.  È un film sulle maschere quello di Baker. Ivan indossa quella del giovane divertente, scapezzato e innamorato, la madre è la “strega cattiva”, ma è Anora a indossare la maschera più pesante di tutte: il corpo. Il suo corpo nudo è una maschera dietro la quale Ani nasconde le sue fragilità e la sua malinconia. È fonte di potere perché le permette di sedurre gli uomini e giocare il suo ruolo, ma è, in fondo, anche una merce che si compra. Il suo amore ha sempre avuto un costo e la moneta è sempre stata la sua carne. In realtà la vita che Anora porta avanti è una vita fatta di cicatrici, traumi, abusi e insicurezze che lei, il film, e noi spettatori, nascondiamo sotto pelle, a volte anche inconsapevolmente.

Dopo aver affrontato la realtà, Ani lascia andare Ivan e la sua velenosa famiglia. Si risveglia dal sonno fiabesco nel quale ha dormito per anni e vede la realtà per quella che è. Conosce però anche Igor, una delle guardie del copro di Ivan che, come tutti, rimane stregato da Ani. Lei prima lo disprezza ma poi saprà rivedere in lui un suo pari. Igor è diverso dagli altri: è una persona che sa prendersi cura di lei e che la capisce. La loro intesa nasce anche e soprattutto grazie al fatto che i due condividono la stessa “precarietà”. Sono due personaggi che esistono per esaudire i capricci dei potenti, perché Anora è anche un film sul potere e di come si esercita. Il divario di potere infatti che c’è tra Ivan e Anora, viene, come nella vita reale, spacciato per consenso e parità quando in realtà è un vero e proprio ricatto a cui chi è sottoposto non può sottrarsi.

Cast members Mikey Madison, Yuriy Borisov and Mark Eydelshteyn pose during a photocall for the film “Anora” in competition at the 77th Cannes Film Festival in Cannes, France, May 22, 2024. REUTERS/Sarah Meyssonnier

Il ribaltamento di un mito

Lo sguardo di Baker è uno sguardo politico. Non si può dire il contrario. Il potere coincide con il denaro e con il genere: in quanto uomo ricco Ivan ha il privilegio di considerarsi “simpatico e intraprendente”, quando non fa altro che sperperare e poter dire quello che vuole perché tutto gli è concesso. La chiave che libera Anora dal suo ruolo di “sottomessa” è la consapevolezza. Essere consapevoli di chi ha il potere e di come lo esercita è uno strumento che può garantire la libertà.

La grande rivoluzione di Anora è ribaltare un mito che negli anni si è consolidato nella nostra mente. La giovane donna che sogna di sistemarsi è infatti un vero e proprio archetipo narrativo. Pretty woman lo raccontava con Julia Roberts e Richard Gere nel 1990: il mito della prostituta felice. Spacciare per una storia d’amore un sistema come quello della prostituzione che, a prescindere dalla libera scelta, nasconde un gioco di potere basato sulle differenze di classe. Una vittoria del neoliberalismo, la definirà Julie Bindel (attivista e militante del femminismo radicale). Anora ribalta la prospettiva della prostituta e la libera da questa narrazione scoperchiando un mondo fatto di ingiustizie e illusioni. La rom com si interrompe e lascia il posto ad un cinema del vero (in senso lato) che racconta la storia di una presa di conoscenza e di un primo passo verso la liberazione.

Il finale del film è esemplare. Ammetto qui, e faccio mea culpa, che alla prima visione tutto questo non mi è stato chiaro. Probabilmente il film aveva raggiunto il suo obiettivo e in qualche modo sono uscito dalla sala quasi infastidito. Avevo la sensazione che il personaggio di Anora fosse stato abusato e costretto a subire le peggiori nefandezze. Più è passato il tempo, più ho capito quanto il finale in realtà lasci il personaggio pieno di speranze. Igor, la guardia del corpo di cui sopra, mosso da quello che Ani crede pena nei suoi confronti ma che in realtà è amore, l’accompagna a casa dopo le varie disavventure. È gentile, premuroso. Anora vuole ringraziarlo e lo fa nell’unico modo che conosce: regala il suo corpo. Quando però Igor non ne approfitta ma la stringe in un abbraccio, Anora riconosce in lui una purezza che non ha mai trovato prima. Per la prima volta  il suo corpo non è stato merce di scambio. Così Anora piange, perché a volte la felicità crediamo di non meritarla, e la libertà può fare più paura di una gabbia.

Matteo Cantarella

 

Tags: Anora, Film; Tokofilmfest, Mikey Madison, Oscar, recensione, Sean Baker

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