Adagio: riscatto, vendetta e speranza

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Adagio

Fresco di un David di Donatello per la colonna sonora, Adagio di Stefano Sollima approda su Netflix. Un film onesto e brutale ma che inciampa su una storia forse raccontata a metà.

Manuel ha sedici anni ed è il figlio di un ex criminale romano che va sotto il nome di Daytona, ormai dato per pazzo e rimbambito. Sotto lo scacco matto di poliziotti corrotti viene mandato ad una festa promiscua per raccogliere prove contro un potente esponente politico, ma quando si spaventa delle conseguenze scappa trovandosi alle costole i poliziotti decisi a liberarsi di un pericoloso testimone. Datosi alla fuga cerca aiuto da vecchi compagni del padre, pronti a dargli una mano.

Sollima rimane fedele ai suoi temi esplorati già in Suburra e in A.C.A.B e racconta della vita criminale della capitale. Questa volta però cambia un po’ di carte in tavola. Se ritroviamo una Roma oscura, perennemente in penombra, sporca e in preda alle fiamme, abbandoniamo il focus sui grandi nomi del crimine che qui appaiono come in pensione. Ormai in ritirata nelle loro rispettive vite private, i boss sono tutti in preda a malattie e decadenze, e hanno lasciato in eredità il loro veleno alla polizia e allo stato. Sono questi gli organi che oggi si macchiano di crimini e nefandezze.

Le tre grandissime interpretazioni di Toni Servillo nei panni di Daytona, Pierfrancesco Favino (irriconoscibile) in Cammello e Valerio Mastandrea che interpreta Polniuman, aiutano il film ad acquisire più profondità. Trasformano i loro personaggi in vecchie maschere ormai al termine della loro vita che, non senza lasciare traccia del loro passaggio, sono ormai destinate a cedere il posto alle nuove generazioni.

Adagio è un film sulla vendetta ma anche sulla redenzione e sulla speranza. Ed è qui che forse non riesce in pieno nel suo intento. Sullo sfondo una Roma che brucia, buia per i continui blackout, riflesso esterno di quello che giace nel suo cuore, tra i vicoli sporchi e le stanze dei luoghi del potere. La cosa più interessante del film è il rapporto che si viene a creare tra Manuel e Cammello.

L’ex criminale non ha nessuna intenzione di aiutare il ragazzo dopo essere stato in prigione per 12 anni per colpa del padre. Inoltre da allora è pulito ed ha promesso alla moglie di “rimanere da questa parte”. Tuttavia Manuel assomiglia tanto al figlio che ha perso, e questa somiglianza non riesce a farlo rimanere fuori dal caso. Quest’arco di trasformazione però viene esplorato davvero poco e la chimica che si crea tra i due personaggi lasciata un po’ a se stessa. 

Adagio poteva essere la storia di un uomo, mangiato dai rimpianti e dal rimorso, che riusciva a redimersi sacrificando la sua vita per riuscire in quello in cui la prima volta aveva fallito. Per dare speranza alle nuove generazioni. È quello che nel film in parte succede ma il focus è costantemente distolto dall’azione e dalla volontà di fotografare il quadro generale più che il dettaglio. Cammello decide alla fine di tornare dal ragazzo e salvarlo non per la sua natura da criminale che gli impedisce di star lontano dalla violenza, ma per la sua natura di padre che finalmente decide di proteggere chi ama e fare la cosa giusta. Tutto questo purtroppo non si percepisce fino in fondo.

L’azione distrae molto ma è anche vero che la regia si dimostra magistrale in queste scene che risultano accattivanti, accurate e potenti. Ad accompagnare, una colonna sonora avvolgente che illumina il film e lo anima con una grande profondità emotiva. A uscirne male sono le forze dell’ordine, corrotte e violente. Tuttavia anche Vasco lo fa in nome dell’amore e della famiglia, per poter sopravvivere in un mondo dove solo chi fa paura vince.

Adagio è dal 13 maggio su Netflix

Tags: adagio, david di donatello, Netflix

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