Quando il cinema decide di raccontare un’icona come Bob Dylan, ogni dettaglio diventa un atto di devozione. In A Complete Unknown, il film diretto da James Mangold con Timothée Chalamet nei panni del menestrello del folk, i costumi — candidati agli Oscar — compiono un miracolo inverso: anziché mimetizzarsi nella storia, diventano un silenzioso protagonista, e riescono laddove la pellicola esita: vestire l’inafferrabile, trasformando l’enigma Dylan in un corpo che respira e si muove nello spazio e nel tempo. Qui, gli abiti non accompagnano la narrazione: la redimono.
Il film racconta una parte specifica della vita di Bob Dylan, documentando la sua ascesa alla celebrità dal 1961 al 1965, crescendo all’iconico Newport Folk Festival del 1965.
Un Completo Sconosciuto, 67 Cambi D’Abito
Nonostante il periodo breve, la costumista Arianne Phillips ha cucito sulla pelle di Timothée Chalamet ben 67 cambi d’abito. Insieme ai quaranta brani che si muovono in A Complete Unknown — frammenti di blues, folk e rabbia elettrica — i costumi creano una coreografia segreta: non un semplice biopic, ma un musical vero e proprio.
La costumista Philips, partendo dai capi originali dell’artista — come il giubbotto di pelle consumato dal tour elettrico del ’65 o le camicie indossate nei club del Greenwich Village — ha costruito un archivio sartoriale che è anche e soprattutto una biografia. Non ha copiato Bob Dylan, ma ha decodificato il suo rapporto con gli abiti.
Ogni giacca, ogni maglione è uno strumento per costruirne l’immagine pubblica: un messaggio, una provocazione. Anche Timothée Chalamet ha indossato alcuni di questi pezzi storici, prestati da collezionisti privati, in una fusione fisica tra l’attore e l’eredità materiale del musicista.
I 67 costumi di A Complete Unknown documentano cinque anni cruciali: dalla figura timida del folk singer alla magnetica icona rock. Nelle prime scene, dominano i tessuti rustici — camicie a quadri, giacche di tweed sbiadite — che rimandano alle origini rurali di Bob Dylan e all’estetica minimalista della scena folk newyorkese. Con la svolta elettrica del 1965, la silhouette si fa più tagliente: giubbotti di pelle attillati, stivali da cowboy riadattati all’urbanità, occhiali da sole che trasformano il volto in un enigma. Ogni cambiamento riflette una crisi creativa.
Arco Cromatico

Fonte: https://www.chapter.org/whats-on/a-complete-unknown-15
I colori giocano un ruolo fondamentale, che determinano le fasi evolutive del personaggio: all’inizio un completo sconosciuto cammina per il New Jersey con uno zaino giallo, poi indossa una sciarpa arancione, una giacca terracotta, poi marrone, e infine nero, di pelle, con una camicia arancione-rossa, a significare che la sua evoluzione non è confusa, ma segue un arco ben preciso. E alla fine di tutto (la giacca di pelle nera) lui ben ricorda le sue origini, da dov’è venuto (la camicia arancione).

Addio: È Stato Bello Conoscerti
Se A Complete Unknown, nel suo insieme, non riesce a decifrare l’aspetto mutevole di Dylan — quel desiderio ossessivo di trasformazione e di ombra— i costumi ne catturano a pieno l’essenza. Gli anni ’60, oggi tornati di moda, non sono più una nostalgia da museo: sono un dialogo tra epoche. La giacca di pelle che Chalamet indossa nella scena del Newport Festival è la “stessa” che potremmo trovare in un mercatino vintage. I 67 cambi d’abito del film non sono solo la cronaca di un mito, ma una scelta tra le identità possibili. In ogni sciarpa di tweed, giubbotto di pelle, camicia verde a pois bianchi, c’è un invito: navigare il caos dell’essere attraverso i vestiti, proprio come fece Bob Dylan.
Perché quegli abiti, oggi, non appartengono solo a un’icona, infatti questo film non ha la pretesa di essere visto solo da chi conosce bene l’artista: vedere questo film stringendo l’occhio ai costumi ci permette di vedere noi stessi, chi c’è stato prima di noi, e come ognuno di noi ha il diritto di sperimentare nella vita, come ha deciso di fare Bob Dylan, e ha il diritto di farlo sopra e sotto i riflettori.
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