Il seme del fico sacro: arte come impegno sociale

folder_openAL CINEMA, oscar 2025, recensioni
Il seme del fico sacro

Il seme del fico sacro  è l’ultimo capolavoro di Mohammad Rasouluf. Candidato agli Oscar come miglior film internazionale. Ambientato nell’Iran contemporaneo, è un dramma famigliare che usa il genere come pretesto per denunciare, in maniera per niente velata, il regime teocratico degli Ayatollah. Il regista, ora in fuga dal suo paese dove rischia il carcere, tesse una trama semplice ma con una grande maestria, realizzando un film con diversi e profondi strati di lettura che, nonostante le 2 ore e 40, mantengono il pubblico saldamente seduto sulle poltrone del cinema.

La scrittura profonda del seme del fico sacro

Iman (Misagh Zare) è un padre di famiglia premuroso e un marito caritatevole. Viene promosso a lavoro dove diventa giudice istruttore a Teheran: ora firmerà lui le condanne dei processi. Non poteva capitare momento peggiore però, perchè in città scoppiano proteste sempre più partecipate contro il regime e la violenza della legge. Il film si divide essenzialmente in due parti. Nella prima parte si esplorano le dinamiche famigliari: da una parte Iman, sostenitore ed esecutore della legge, e dall’altra parte le sue due figlie, sostenitrici delle proteste. Nel mezzo Najmeh (Soheila Golestan), moglie e madre, che prova a conciliare i due poli. In questa prima parte la scrittura indaga affondo i personaggi e le loro motivazioni, ma soprattutto il contesto in cui loro agiscono e come lo spazio e il tempo li caratterizzano.

Nonostante Iman sia un forte sostenitore della teocrazia, il suo viso non manca di imperlarsi di sudore quando deve firmare la condanna a morte di qualcuno. Si pone una questione etica, sia al lavoro che in famiglia, con delle figlie e una moglie che sinceramente ama. Questo dubbio rende il suo personaggio vero e umano e sottolinea la complessa psiche di chi si trova a ricoprire ruoli del genere. La scrittura di Iman traccia un personaggio sfaccettato che vive un forte conflitto tra la sua fede (Iman significa letteralmente fede) e la sua famiglia.

Le figlie Rezvan (Mahsa Rostami) e Sana (Setareh Maleki), inizialmente rispettano il padre e il suo volere. Si mantengono lontane dalle proteste anche se ne abbracciano i valori. Fanno parte di una nuova generazione e studiano in un ambiente progressista che veste i loro personaggi con la tipica tendenza alla disobbedienza e alla reazionarietà di chi vuole cambiare le cose. Najmeh è il personaggio principale, colei che compirà un arco completo e rivoluzionario. Allineata con l’ideologia del marito, protegge però le figlie nascondendo le loro bugie. È una donna che inconsapevolmente rinuncia alla propria libertà perchè crede essere la cosa giusta, ma che saprà scegliere con chi stare quando la verità si palesa ai suoi occhi

La seconda parte del film invece si addentra più nel thriller e delinea gli archi dei personaggi. La pistola che Iman ha ricevuto a lavoro è sparita: è stata la sua disattenzione o qualcuno trama alle sue spalle? Se non la ritrova rischia il carcere. Iman sospetta delle sue figlie per via della simpatia che provano verso le proteste ma le due sorelle negano ogni coinvolgimento. La spirale di eventi che segue accentua i dissapori in famiglia e guida il film verso un finale quasi a cardiopalma e ricco di significato. Il modo in cui la sceneggiatura semina e costruisce il mistero del film è magistrale. Il regista, che è qui anche sceneggiatore, gioca in qualche modo con il pubblico facendolo dubitare di qualsiasi pista. Ecco che poi svela la verità e trasforma il film quasi in un western d’ azione, senza mai snaturare lo stile, le premesse e la sua autorialità.

Il seme del fico sacro come allegoria della società

Il grandissimo merito de il seme del fico sacro è quello di utilizzare una storia essenzialmente semplice ma magistralmente costruita per raccontare una realtà profondamente complessa. Rasouluf sfrutta a pieno le potenzialità del linguaggio cinematografico intrecciando arte, impegno sociale e tecnica in maniera egregia. Non solo, dimostra anche come, forse, solo il cinema può prestarsi a tale compito.

Come anticipato il film è una forte condanna al regime, alle sue idee e alle sue leggi. Nello specifico vengono riprese le proteste del 2022 legate alla morte della giovane Mahsa Amini, uccisa per non essersi messa il velo nel modo giusto.  Il seme del fico sacro ha una storia produttiva incredibile che approfondiamo dopo, basta sapere ora che è stato girato interamente in clandestinità. Come detto prima il linguaggio cinematografico viene sfruttato a pieno e trasforma i limiti tecnici di una condizione come questa, in nuovi spunti e soluzioni visive.

Girato in ambienti chiusi (per via appunto della clandestinità) mette in risalto la differenza tra ciò che è concesso dentro le mura e ciò che si consuma fuori. La dicotomia interno-esterno che il film crea si riflette sul comportamento dei personaggi ma anche sulla messa in scena. Il regista utilizza video veri delle aggressioni caricati sui social durante le proteste per riportare la condizione del paese, mentre racconta una vita “sicura” dietro la porta di casa. Gli spazi quindi non sono solo reali ma diventano anche digitali e il lavoro d’archivio diventa allo stesso tempo mezzo di denuncia sociale e parte integrante della narrazione.

C’è anche una forte dicotomia tra il vecchio e il nuovo. I genitori credono alle notizie date dalla tv che presentano i manifestanti come violenti terroristi, mentre le giovani ragazze si informano tramite i social dove vi è una libertà più ampia e fedele dell’informazione. I due mondi – esterno – interno – si incontrano quando le due sorelle accolgono in casa una loro amica rimasta gravemente ferita durante una protesta. La madre è prima contraria, poi riluttante decide di aiutarla e medicarla. Il personaggio della madre rappresenta l’arco di una presa di coscienza della condizione in cui vive. Attraverso il suo sguardo anche il pubblico vive l’esperienza di decostruire lentamente il mondo che prima ci sembrava giusto. 

Una volta che si mette da parte l’esterno e l’azione si concentra sui rapporti famigliari dopo che il padre smarrisce la pistola, il seme del fico sacro palesa ancora di più le sue intenzioni. Non è un caso che in famiglia ci sia un solo maschio. Il nucleo famigliare infatti altro non è che il riflesso dei meccanismi e del funzionamento della società. Il padre è il regime e la moglie e le figlie le vittime. Lo vediamo nella scena dell’interrogatorio, una delle scene più forti del film, dove il ruolo di padre si sacrifica a quello di funzionario di stato e di “boia”.

In questo senso anche il finale appare chiaro e limpido nel suo intento. La caduta del padre è la caduta di un regime che è “uomo” per mano delle minoranze che opprime. L’istanza è dichiaratamente politica. Si vede nella denuncia sociale ma soprattutto nel rapporto tra le nostre protagoniste femminili, che racchiude la solidarietà, la sorellanza e il coraggio della disubbidienza per ottenere ciò che gli è negato ma che di diritto gli appartiene.

Il cinema come arma politica

È, se non lo aveste notato nei miei articoli precedenti, un tema ricorrente quello che vede il cinema e la politica andare sotto braccio. Lo confesso, è un mio pallino, ma per me tutto è politica, e non trovo film migliore per poter nuovamente approfondire il tema. Il seme del fico sacro testimonia la natura del cinema che non si esaurisce nella sua forma “artistica” ne in quella “industriale”, ma che per valore ontologico va oltre, diventando strumento che racconta e allo stesso tempo modifica la realtà. Fare politica con il cinema significa concedersi la possibilità di far affidamento alla finzione, alla fantasia e alla creatività per parlare del concreto. Anzi, a volte più lontano andiamo e più politica facciamo. Star Wars è politica, Il signore degli anelli è politica, La storia infinita è politica, perchè nascoste tra l’inesauribile fonte della loro fantasia, troviamo la verità e la materia di cui noi tutti siamo fatti.

Il caso de Il seme del fico sacro è ovviamente più semplice perchè le intenzioni sono chiare e la politica, l’impegno sociale e la denuncia entrano all’interno della narrazione con il piede pesante. Mohammad Rasoululuf già con i suoi film precedenti era stato condannato dal regime per aver “messo a rischio la sicurezza nazionale”. Nel 2010 viene messo in carcere perchè i suoi film che già denunciavano le condizioni dell’ Iran, erano considerati propaganda anti-regime. Viene così condannato a non poter più girare film. Qui inizia il suo periodo di disobbedienza civile in cui continua a scrivere e realizzare le sue opere in clandestinità.

La storia produttiva de il seme del fico sacro è altrettanto interessante. Il regista infatti stava aspettando l’esito di un ulteriore processo. Nell’attesa decide di girare il film sotto copertura, mandando al governo una finta sceneggiatura. Durante le riprese fu dichiarato colpevole ma riuscì a terminare il film e a mandarlo per il montaggio in Germania poco prima che l’ordine divenne esecutivo. Dopo essere fuggito dal paese, è ora latitante.

Il suo coraggio e soprattutto la sua maestria non sono passati inosservati poichè i suoi film hanno sempre fatto il giro di numerosi festival tra cui Cannes e Berlino, a dimostrazione che l’arte e il cinema non possono essere piegati nè fermati. Lo stesso Rasouluf ha dichirato in un’intervista «In una dittatura ogni scelta, anche di disimpegno, è politica. La maggior parte dei registi e attori gira film innocui. E quindi si schierano con il regime».

Matteo Cantarella 

Le immagini sono utilizzate esclusivamente a scopo informativo non commerciale. I diritti sono riservati ai rispettivi proprietari.
Tags: Il seme del fico sacro, mahammad Rousuluf, oscar2025

Related Posts

keyboard_arrow_up