Emilia Peréz: anima, copro e polemica

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Giovedì 23 gennaio Emilia Peréz si è unito ai film con più candidature di sempre agli Oscar, ben 13. Spiccano quelle a miglior film, attrice protagonista, attrice non protagonista, film internazionale e regia.

Diretto da Jacquas Audiard (Il profeta, Dheepan) racconta la storia di un narcotrafficante messicano che ingaggia una giovane avvocata per aiutarlo a inscenare la sua morte e poter finalmente, dopo una vita di bugie e segreti, iniziare il percorso di affermazione di genere. Un presupposto davvero interessante con un personaggio, credo, unico. Risulta infatti quasi un ossimoro ed evoca alla mente -con le dovute differenze-  il boss mafioso Tony Soprano che decide, per via degli attacchi di panico, di andare in terapia (The Sopranos). Se già le premesse catturano di certo la nostra attenzione per la loro originalità,  ad aumentare ulteriormente il mix di stravaganza è la scelta del genere che incornicia queste vicende: il musical. Ci sono tante, tantissime cose da dire su un film come questo. Andiamo in ordine.

LA TECNICA

Tecnicamente Emilia Peréz è magistrale. Il montaggio alterna momenti incalzanti a rallentamenti carichi di emotività che donano al film un ritmo armonioso. La regia di Audiard dialoga perfettamente con tutti gli elementi della messa in scena che mescola  il pop, il melodramma e l’azione. Inoltre è padrona di tutte le sequenze musicali.

La sceneggiatura azzarda molto su alcune svolte di trama, senza risultare però eccessivamente incredibile. Il grande merito della scrittura è quello di saper mescolare e giocare con i vari generi. Ne rispetta le strutture classiche per poi stravolgerle dimostrando una profonda consapevolezza del linguaggio cinematografico. Il musical infatti si contamina con il thriller, il crime e l’azione dando vita a delle coreografie quasi marziali, delle canzoni che usano spesso il parlato e che spaziano anch’esse in più generi musicali. Tutti questi elementi rendono il film davvero unico e , che sia piaciuto o meno, decisamente interessante.

Un altro grande pregio del film è la forte emotività di cui si carica. È una storia di trasformazione quella di Emilia Peréz che ci pone la domanda: si può davvero cambiare se stessi? Essere se stessi è una chiamata che prima o poi arriva, la scelta è se rispondere o meno, ma per quanto possiamo fuggire, questa busserà sempre alla nostra porta finché non apriamo.

Grandissimo merito va al cast: Zoe Saldana nei panni dell’avvocata Rita è una guida fondamentale per lo spettatore che senza il suo personaggio avrebbe faticato ad empatizzare da subito con la storia. Karla Sofia Gascòn nei panni di Emilia regala al pubblico un’ interpretazione molto forte. Lascia emergere tutta la forza del suo personaggio che però nasconde un’ anima fragile, stanca, ma anche arrabbiata e pericolosa, e infine amorevole e compassionevole. Tutte queste sfumature convergono nel suo personaggio che compie un arco di trasformazione basato sul riscatto e la redenzione. Alla fine la sua storia è un “coming of age” in senso tanto metaforico quanto letterale. Una volta diventata quella che, in fondo, era sempre stata, Emilia abbandona il mondo dei cartelli messicani e dedica la sua seconda possibilità ad aiutare il prossimo, cercando di riparare gli errori del passato.

Emilia però non è una santa, per quanto alla fine del film la chiameranno tale. Dopo due anni dall’operazione il senso di colpa per aver lasciato la moglie e soprattutto i due figli piccoli è troppo forte e decide così di riportarli indietro. Nonostante tutto esercita ancora sugli altri il suo potere, decidendo delle loro vite solo per esaudire i suoi desideri e fare la sua volontà. Richiama a sé il passato dal quale non riesce a stare lontana, un errore che sarà per lei fatale. È proprio però questa continua oscillazione tra la luce e l’ombra che la rende vera, umana e potente.

Emilia Peréz

UNA NUOVA RAPPRESENTAZIONE QUEER

La sua rappresentazione aggiunge tanto alla storia dei personaggi queer nel cinema, compiendo una grande conquista. Troppo spesso i personaggi queer, tra cui quell* transgender, non hanno un vero e proprio spazio all’interno della narrazione, e se lo hanno nella maggior parte dei casi sono storie che li raccontano solo in funzione di questa caratteristica, trascurando completamente tutta la complessità e le sue sfumature.  Emilia Peréz è molto di più di una donna trans: è un “villan”, è un “eroe”, è un “mentore”. Odia, ama, uccide, salva, perdona e condanna.  È una figura decisamente sfaccettata e per questo divisiva.

Il film, dopo la sua uscita nelle sale statunitensi, ha collezionato innumerevoli critiche. La prima è quella legata al musical. Molti hanno criticato la sua vittoria a miglior film musicale ai golden globe paragonando le canzoni e le performance a quelle di Wicked, il musical colossal del momento. Per molti utenti di tik tok (e qui già capiamo la autorevolezza di queste opinioni) Emilia Peréz non sarebbe all’altezza del genere. Ora lasciate che io sia polemico. Capisco la forte relazione che lega gli USA al musical che viene qui di fatto riscritto, e si sa quanto sia difficile accettare il cambiamento e la novità in qualcosa che si riconosce nella proprio cultura e identità  (capiamo ora meglio la scelta del genere e di stravolgerlo?) ma avanzo l’ipotesi che il pubblico non abbia capito a pieno il lavoro che è stato svolto su e con un film di questa portata, peccando forse di presunzione e rimanendo attaccato in maniera ossessiva alla propria tradizione e gusti.

La seconda polemica riguarda la rappresentazione del Messico. Riporto la notizia, senza sbilanciarmi più di tanto perché non sono molto padrone dell’argomento. Anche qui sarebbe da ripercorrere la storia che lega gli USA con il Messico che implica fattori a cui noi Europei siamo estranei. Il film anche se ambientato in Messico è stato in realtà girato in Francia (paese di produzione) per motivi di budget, inoltre è stato accusato di riportare una narrazione del paese semplicista, legando la sua storia solo alla presenza della malavita e della criminalità.

emilia perez

LA VERA DOMANDA DI EMILIA PERÉZ

L’ultima critica è stata rivolta alla rappresentazione del personaggio di Emilia. Molti hanno criticato il fatto che il film faccia passare il messaggio che una donna trans, per essere tale, debba ricorrere per forza all’intervento chirurgico, e per questo lo accusano di rimanere ancorato all’idea eteronormata della binarietà di genere, invisibilzzando invece tutto lo spettro fluido che c’è nel mezzo. Su questo non sono d’accordo. Fermo restando che sì, il sesso non definisce il genere che è fluido e non binario, Emilia Peréz non è un film sulla transizione, non è un film che vuole farsi portavoce di una comunità. Il personaggio di Emilia non parla a nome della sua “categoria” ma solo per se stessa. In questo senso non possiamo quindi neanche negare che per alcune donne trans invece sia fondamentale compiere un passo importante come la vaginoplastica per sentirsi legittimate in quanto donne e quindi riconoscersi in se stesse e nel proprio corpo. Perché Emilia Perèz parla anche e soprattutto del corpo.

La domanda di partenza era: possiamo davvero cambiare noi stessi? Emilia cambia davvero? Emilia non cambia, Emilia nasce, dopo anni che era stata sopita dentro un narcotrafficante. È per questo che non riesce a separarsi dal suo passato. La vera domanda è: possiamo noi cambiare gli altri? Nella canzone Lady, che cantano l’avvocata Rita e il dottore che poi eseguirà la chirurgia si canta: “changing the body changes the soul, changing the soul changes society, changing society changes it all” – cambiare il corpo cambia l’anima, cambiare l’anima cambia la società, cambiare la società cambia tutto il resto-.

Agire sul corpo per Emilia significa agire sulla sua anima e finalmente liberarla e poterle permettere di cambiare la società, espiando i suoi crimini. Crimini che alla fine del film Emilia paga, in una sequenza tipica dei film crime: un incidente in auto durante un inseguimento. Per tutta la sua durata il film gioca e ribalta i generi, fallendo però in questo finale che per me rappresenta la vera criticità in ambito di rappresentazione.  Ne capisco la portata narrativa, ne capisco le motivazioni, ma diventa così l’ennesimo film in cui il personaggio queer muore, senza prospettiva di futuro e felicità. Alla fine, il personaggio queer deve per forza espiare la sua colpa di non essere quello che gli altri vogliono. Emilia rimane nella mente di chi ha aiutato cambiando loro le vite, rimane ella stessa in vita con la sua anima e il suo operato, ma per una volta anche il corpo, per tutto quello di cui sopra, meritava di vivere più a lungo.

Matteo Cantarella

Tags: Emilia Peréz, film, Oscar 2025, recensione, Zoe Saldana

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