Challengers: gioco, potere e amore

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Challengers

Di Matteo Cantarella

Il tennis è come una relazione. Mai frase è stata più profetica per sintetizzare la materia di un film. Con un cast che fa decisamente la differenza, Luca Guadagnino torna con Challengers, un film che danza, cade e si rialza nel raccontare l’amore come solo lui sa fare. Amore che non può essere definito tale se non comprende anche potere, ossessione e carne.

Art (Mike Faist) e Patrick (Josh O’Connor) sono grandi amici e due aspiranti campioni di tennis. Il forte legame però ha sempre impedito loro di sviluppare una competizione sul campo, tanto che quando si trovano in finale uno contro l’altro ad un torneo decidono insieme chi dei due deve vincere. Le dinamiche cambiano quando entrambi conoscono Tashi (Zendaya), una giovane promessa del tennis che da subito esercita su di loro un fascino afrodisiaco. La storia si articola su diverse linee temporali che farebbero impallidire anche Nolan (forse è un po’ esagerato). L’opera inizia con il match finale tra Art e Patrick al torneo Challenger, che scopriamo presto essere invece il finale a cui il film sta tendendo.

Dopodichè, con vari flashback, inizia a  raccontare come i personaggi sono arrivati a quella estenuante situazione, rimbalzando -proprio come una pallina da tennis- da una linea temporale all’altra. Seppur a volte risulta difficile capire in quale tempo ci troviamo per la velocità con cui il film cambia, la scelta di mantenere una narrazione disarticolata aiuta nella costruzione di una forte tensione che instaura nello spettatore un frenetico desiderio di sapere cosa è successo.

“Tensione” è in effetti una delle parole chiave per leggere il film. Challengers non è una storia sul tennis -come poteva essere facile da intuire- ma sviscera le dinamiche di un menàge a trois. A vincere il primo scontro per la contesa del numero di Tashi (e la relativa possibilità di instaurare un rapporto con lei) è Patrick, che da qui in poi rimarrà imbattuto dall’amico, su ogni campo. Inizia infatti una relazione con Tashi che in un primo momento non incrina i legami tra i due amici ma anzi, in qualche modo secondo strane regole della perversione, i due trovano nel terreno di contesa una nuova linfa vitale per il loro rapporto. Le cose cambiano quando dopo un litigio e il successivo infortunio di Tashi, lei e Patrick si lasciano, Art finalmente conquista il cuore della tennista e il triangolo si spezza.

La cosa più interessante del film è il continuo mutare delle relazioni tra i tre protagonisti. Il potere è quasi sempre nelle mani di Tashi, ago della bilancia tra i due amici. La scrittura del personaggio femminile risulta estremamente forte e sfaccettata. Spesso infatti sono i personaggi maschili ad essere contesi tra due donne e a risultare carismatici, desiderabili e sfacciati. Il rapporto tra i due amici invece, per quanto diventi dipendente dalla figura di Tashi, ha un cuore pulsante tutto suo. Con la consueta regia elegante e piena di tensione a cui Guadagnino ci ha abituato, si sottolinea tra i due una forte tensione erotica, rafforzata dai continui simboli fallici, da sguardi intensi e passionali e da uno sguardo di macchina che fa del corpo maschile una vera e proprio opera d’arte.

Già da Call me by your name era emerso il ruolo che il corpo copre nella filmografia di Guadagnino. Oggetto e soggetto del desiderio, il corpo, la nudità (anche senza essere mai esplicita) rappresentano tensione ed erotismo, rendendo carne ciò che in astratto si sviluppa tra i tre amanti. Ed è qui che entra in scena il tennis. Imprevedibile, dinamico, lento, veloce e teso, incarna la metafora perfetta della relazione: vincere a tennis significa vincere in amore. Il finale del film -qui senza spoiler- permette diverse interpretazioni a quanto detto, rivelando che in fondo Challengers non è ninet’altro che un film sulla cura. Ma non dirò altro.

Tutto questo vortice incontrollato è ripreso da una regia elegante e senza freni. Per tutto il film vediamo azzardi nelle angolazioni, nelle inquadrature e nel montaggio che raggiungono il loro limite durante la sequenza finale. La regia impazzisce in una sequenza eseparata fino all’ultimo. Ci sono soggettive della pallina che viene sbattuta a destra e a sinistra, inquadrature dal basso che riprendono i personaggi come da sotto il pavimento. Le musiche fenomenali di Reznor e Ross incalzano il ritmo e la tensione, ricordando quasi il battito del cuore che velocemente accellera in preda all’adrenalina, tanto belle da arrivare a distrarre lo spettatore.

Il film perfetto non esiste e Guadagnino lo sa e ci gioca sopra. L’imperfezione è un pretesto per concedersi di sacrificare regole e convenzioni in nome della passione e delle emozioni. In questo Guadagnino fa da maestro.

Challengers è nei cinema dal 24 aprile

 

Tags: Challenegrs, film, Josh O'connor, Luca Guadagnino, recensione, Zendaya

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